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Creato da Provincia di Roma - Per la memoria il 09/03/2011
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1.4 min
Quando Aldo Clemente arrivò a Roma, nel 1947, esistevano solo i padiglioni per gli operai che avrebbero dovuto costruire l’Eur42, i cui lavori furono sospesi per l’entrata in guerra. Fu allora che Oscar Sinigallia, benemerito fra i profughi, riuscì a raccogliere 40 milioni fra gli industriali romani con i quali vennero ricavati 120 piccoli appartamenti in questi padiglioni in rovina. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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2.8 min
Claudio Drandi racconta che la zona del Villaggio giuliano era tutta campagna, con qualche casa sulla Cristoforo Colombo. E c’era l’abbazia delle Tre fontane dove i frati vendevano verdure, olio e vino. Sono stati dieci anni nei padiglioni. Claudio davanti alla nuova chiesa inaugurata negli anni ’70, racconta della vecchia chiesetta. La chiesa è naturalmente dedicata a San Marco. Verso la fine dei lavori per la collocazione di una stele, fu proprio Claudio a suggerire il verso di Dante sull’esilio. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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4.4 min
Diego Zandel ricorda che al’orizzonte si vedevano i palazzi bianchi del Palazzo della civiltà del Lavoro e il Palazzo dei congressi che emergevano dall’agro Pontino. In casa sua si entrava direttamente in cucina dove c’era un lavandino che serviva per tutto, dietro c’era il water e c’erano due stanze dove dormivano i genitori e lui con la nonna. Sono stati lì nove anni. Prima erano stati nelle baracche di un ex campo di prigionia della prima guerra mondiale dove i divisori erano semplici tende e quindi i padiglioni erano un lusso. E racconta del gioco pindul pandol: un gioco in cui il mazziere doveva respingere il pindul che arrivava, un gioco bello che aveva bisogno di grandi spazi. Negli spazi delle vasche giocavano a indiani e cowboy. Da grandi il gioco diventa la pallacanestro con la squadra giuliana che arrivò anche in serie A. Il padre di Diego la sera dopo il lavoro passava casa per casa a raccogliere i soldi per finanziare le trasferte. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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2.3 min
La gioventù di Ferruccio Conte era cominciata a Leonessa poi si è spostato al Villaggio Giuliano di Roma dove erano state già costruite le palazzine. Rispetto al campo profughi era una casa da signori. Negli anni ’50 si faceva il bagno nella marana le cui acque erano chiare. Ha fatto lo scout e ricorda che il venerdì santo ragazzi facevano la veglia. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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4.3 min
Ganclaudio De Angelini racconta dei primi arrivi a padiglioni, mostra le fotodell’inaugurazione dove era presente Andreotti, e dei primi matrimoni del Villaggio Giuliano. Fa vedere il luogo dove c’era la fontana tonda sormontata da una capra, simbolo dell’Istria, in ferro battuto che ora si trova al Museo di Fiume. A via Bacci c’era la Casa della Bambina dove la madre di Gianclaudio aveva trovato lavoro come vice cuoca. L’edificio Giuseppe tosi che era la scuola elementare adesso è la sede dei vigili. Nella scuola anche gli insegnanti erano profughi che tolleravano gli svarioni dovuti al dialetto. Per andare a scuola a colle di mezzo si attraversava un grande spiazzo erboso dove si giocava a pallone, partite che duravano interi pomeriggi. Il pindul pandol, racconta Gianclaudio, è una invenzione linguistica propria del villaggio giuliano, visto che in Istria si chiamava pandolo. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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4.0 min
Gianna Zoia è nata in campo profughi a Marina di Massa. Quando aveva pochi mesi il padre trasferisce la famiglia al Villaggio. Forse Gianna è la prima bambina del Villaggio. Dopo un po’ viene assegnata la casa dove il padre compra addirittura il bidè da campeggio. Il bagno di faceva in tinozza, la carta igienica era carta di giornale. La scuola era anche quella nei padiglioni. Gianna ricorda le corse in bicicletta col figlio del portiere delle case popolari: perdeva sempre. Ricorda la burla organizzata dal padre, le nozze di Gianna: il padre era travestito da sposa e c’erano tutti gli invitati che poi sono andati a festeggiare veramente in un ristorante. Gianna ci porta nell’edificio del centro dell’associazione sportiva che era un punto di riferimento importante per i ragazzi del Villaggio. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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2.2 min
Maria Ballarin ricorda che la Laurentina era una barriera oltre la quale era aperta campagna. E c’era tanto poco traffico che la mamma la mandava tranquillamente a prendere le uova. Ricorda una recita di Natale all’asilo in cui venne la moglie del presidente Gronchi. I primi dieci anni hanno abitato al primo piano della palazzina che adesso non è in buone condizioni. Abitare nella palazzina era una cosa ambita rispetto a chi ancora stava nei padiglioni. Tutti i pomeriggi d’estate passavano fuori con gli altri bambini, anche i genitori erano tranquilli perché il villaggio era confinato, non c’erano altro che gli ex profughi. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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0.9 min
Oliviero Zoia è nato dove adesso c’è il Bar Zara, in un appartamento di 20 mq dentro al padiglione. E’ convinto che forza della gente è stata quella di stare insieme e poi la scolarizzazione sulla quale i genitori erano inflessibili: la scuola prima di tutto. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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1.1 min
Roberto Pick ci porta nella cantina dell’appartamento della casa dei genitori. La cantina era stata occupata dai ragazzi che ci andavano a suonare, ad ascoltare musica, a fare le festicciole. Sulle pareti ci sono ancora le vecchie foto e i nomi dei ragazzi. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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1.6 min
Quando Romano Sablich è arrivato al Villaggio non c’era nulla, deserto che vive, racconta. Ha adocchiato subito uno scantinato e poiché in giro si trovava di tutto, vecchie porte, pannelli di legno. E così ha ricavato il suo alloggio. La stessa cosa hanno fatto gli Ostrini. Tutti lavoravano ai lavori per la sistemazione dei padiglioni, Romano spicconava vecchie maioliche che potevano essere riutilizzate. Tratto dal film documentario Vivere in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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1.8 min
Giuseppe Rocchi racconta che la sua famiglia aveva casa e campagne a pochi chilometri da Trieste. Venne detto che dovevano dichiararsi slavi comunisti; diversamente sarebbero stati considerati nemici. Pur di rimanere italiani decisero di abbandonare tutto, le tre case e i 50 ettari di terreno. Qualcuno scappava in barca di notte e all'alba allagava la barca per non renderla visibile per poi svuotarle quando veniva buio sperando di incontrare i pescherecci italiani a metà strada. adesso Giuseppe Rocchi con la famiglia, quando va in vacanza, sa di tornare in un paese straniero e non ci sono più parenti. Tratto dal film documentario Voci in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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3.6 min
Quando Romano Sablich era piccolo, in casa non c'era l'acqua e bisognava andarla a prendere alla fontana che per fortuna era solo a cento metri. Dopo la guerra è rientrato a Udine per andare a Fiume. Delle foibe non sapeva niente ma si accorgeva che qualcuno spariva. Quando è venuto a Roma ha adattato un padiglione costruendo un bagno, l'acqua anche qui non c'era ma anche qui la fontana non era lontana. Ha lavorato alla costruzione del villaggio giuliano ma poichè aveva un tetto, riuscì a prendere la casa solo quando fu costruito il secondo lotto. Tratto dal film documentario Voci in esilio, per gentile concessione del Museo di Fiume - Roma
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